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Quanti sono realmente i gusti che possiamo distinguere? Amaro, acido, dolce e salato. Lo sono anche il grasso e l’ umami

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Personalmente non mi trovo molto d’accordo con la scelta di annoverare fra i gusti fondamentali(amaro, dolce, salato e acido) anche il grasso e l’ umami. Io la penso come Luigi Odello che dice: “Se l’esistenza di un recettore è condizione essenziale, non è probabilmente sufficiente a definire un sapore. E’ infatti fondamentale che si abbia coscienza del sapore, il che può dipendere anche dalla cultura di riferimento”. Simone Paciaroni

Lo hanno scoperto in Giappone e significa “saporito”. Potrebbe avere un ruolo importante e benefico per la salute. Lo sostiene un’équipe di ricercatori dell’università nipponica Tohuku.

GOLOSI DI TUTTO il mondo, unitevi. E prendete appunti: oltre a dolce, salato, amaro, aspro e grasso, c’è un altro gusto che solletica le vostre papille. Si chiama “umami”, che in giapponese vuol dire “saporito”, ed è caratteristico del glutammato, un amminoacido presente in cibi altamente proteici, come carne e formaggio. “L’umami”, recita la definizione ufficiale dell’Umami Information Center, “è un gusto sapido piacevole che viene dal glutammato e da diversi ribonucleotidi, tra cui inosinato e guanilato, che si trovano naturalmente in carne, pesce, verdura e prodotti lattiero-caseari”. In realtà, la sensibilità della lingua all’umami è nota già dal 1908, quando Kikunae Ikeda, docente di chimica all’Università Imperiale di Tokyo, isolò il gusto del glutammato monosodico lavorando al brodo di alghe. La notizia più recente, invece, è che questo sesto gusto, così poco conosciuto, fa bene alla salute. O, più precisamente: l’insensibilità all’umami si traduce in perdita di appetito, riduzione della salivazione, e diminuzione di peso, specie nei pazienti anziani, con conseguente degradamento dello stato generale di salute.

Lo hanno scoperto i ricercatori della Tohuku University, in Giappone, che hanno pubblicato il proprio lavoro sulla rivista Flavour, all’interno di uno speciale sulla scienza del gusto. Si tratta di una scoperta che va controcorrente rispetto alla credenza, piuttosto comune, secondo la quale il glutammato monosodico non sia un ingrediente troppo salutare. Gli scienziati, però, hanno condotto uno studio su 44 pazienti anziani, tutti sofferenti di perdita dell’appetito e diminuzione di peso, alcuni dei quali erano parzialmente o completamente insensibili al gusto dell’umami. Per comprendere se effettivamente il quadro clinico degli anziani fosse correlato con l’insensibilità al sesto gusto, gli scienziati hanno somministrato ai pazienti una bevanda a base di tè nero fermentato (il cosiddetto Kobucha), nota per la sua proprietà stimolante rispetto ai recettori dell’umami.

Dopo il trattamento, i medici hanno notato un aumento della salivazione, ingrediente cruciale per le funzionalità gustative della lingua. “Basandoci sulle nostre scoperte”, raccontano i ricercatori nel lavoro, “concludiamo che il miglioramento del flusso salivare potrebbe essere utile per trattare pazienti con disturbi del gusto. In particolare, abbiamo notato che la stimolazione dei recettori dell’umami migliora il flusso salivare perché agisce direttamente sui riflessi condizionati del cavo orale. E abbiamo anche osservato miglioramenti per quanto riguarda la perdita dell’appetito e il recupero di peso corporeo. Preservare il gusto per l’umami”, concludono, “contribuisce dunque non solo al benessere alimentare, ma anche allo stato di salute generale in persone anziane”.

Fonte: Repubblica

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Gastronomo, assaggiatore e blogger. Titolare di AXIX, blog e agenzia di marketing e comunicazione enogastronomica per il food & beverage.