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Consigli e notizie sulla corretta alimentazione.

Disturbi del Comportamento Alimentare. Dipendenze e scompensi alimentari. La parola a un esperto, Vincenzo Barretta

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L’ alimentazione è da sempre un pilastro del nostro buon vivere, la cattiva alimentazione è un male che va combattuto e non sottovalutato, informare e consigliare una corretta alimentazione è un obbligo. Ma qualsiasi sia il vostro peso imparate ad accettarvi. Ad amarvi e cercate di migliorare sempre. Impariamo ad amare anche il lato curvy della vita. Simone Paciaroni

Sempre più persone, soprattutto i più giovani, sono afflitte da disturbi alimentari e non accettazione del proprio corpo, cause e conseguenze di ben altri disagi. Ne parlo con Vincenzo Barretta, stimato Psichiatra, Psicoterapeuta e Specialista in Dipendenze Patologiche, Direttore Scientifico del Centro Noesis di Napoli che si occupa di Psichiatria e Psicoterapia, nello specifico, Diagnosi, Terapia e Riabilitazione delle Patologie da Dipendenza.

Dipendenze e scompensi alimentari. Come riconoscerli? Esistono campanelli d’allarme o possono passare inosservati?

Da alcuni anni i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), da parte di alcuni studiosi, cominciano ad essere letti come una forma di dipendenza, particolarmente le forme di Bulimia o di Disturbo da Iperalimentazione Incontrollata, in cui si verificano episodi di abbuffata e vomito. Purtroppo, tali condizioni possono passare inosservate, a volte anche per lungo tempo. Si può provare a indicare alcuni elementi che possono rappresentare segnali prodromici o veri e propri segni della malattia, che, tuttavia, vanno considerati con attenzione per evitare inutili allarmismi. Spesso in questi soggetti, già in tenera età, è presente bassa autostima prevalentemente legata ad aspetti associati alla corporeità, frequente è l’insoddisfazione per la propria immagine corporea, talvolta sono presenti problemi affettivo-relazionali, tra cui la marcata difficoltà a mangiare davanti ad altre persone, frequenti soste in bagno per i soggetti che praticano il vomito auto-indotto, bugie sulle proprie abitudini alimentari, ritiro dalle amicizie precedenti e relativa chiusura al sociale. Tra le caratteristiche di personalità possiamo notare tendenza alla passività, ridotta assertività, oppure, nel settore lavorativo e/o scolastico la ricerca assidua di risultati eccelsi, rinnegando completamente la possibilità di fallire nell’intento. Tuttavia, nella fase iniziale della malattia, propriamente definita Luna di Miele, l’anoressica/o appare euforica, felice e spensierata; si tratta di una condizione transitoria che spesso fuorvia totalmente i primi sospetti di disturbo alimentare.

Come e quando intervenire?                                                                                             

L’intervento andrebbe sempre condotto in maniera tempestiva per evitare il cronicizzarsi e l’aggravarsi della condizione, anche se va detto che in alcuni casi, purtroppo non molto frequenti, il problema può durare pochissimo tempo e risolversi da solo. Ma quando dura più di qualche mese e i sintomi cominciano ad essere evidenti bisogna subito consultare gli specialisti. Il trattamento di elezione è la psicoterapia condotta da uno psicoterapeuta esperto, a cui spesso va associato un intervento sulla famiglia sia di tipo psicoeducativo (che andrebbe sempre fatto) che di vera e propria terapia familiare quando necessario. In alcuni casi selezionati può essere indicato anche un intervento di supporto farmacologico specifico.

Si può considerare un problema degli ultimi anni, quelli del boom e conseguente crisi economica, oppure sono sempre esistiti?                                                                                  

Dal punto di vista storico, sin dal medioevo si registrano casi che oggi diagnosticheremmo come DCA, ma non v’è dubbio che l’esplosione di queste malattie in termini epidemiologici sia avvenuta negli ultimi decenni.

Suggerimenti e consigli a genitori e persone vicine a individui con disordini alimentari patologici.

Il primo consiglio è sempre quello di evitare la colpevolizzazione o di spingere con forza a cambiare il comportamento alimentare. Ciò potrebbe invece avere un effetto deleterio sul soggetto il quale può reagire inasprendo le proprie difese psichiche e attuare con maggiore forza il proprio stile alimentare alterato.

Quanto i finti miti, le mode, la pubblicità, influenzano, soprattutto i giovani, oppure anoressia e bulimia sono soprattutto da ricercare soltanto in disagi psicologici?     

Alla base vi è sempre una qualche forma di disagio che si esprime nel rapporto con il proprio corpo e con la propria alimentazione. I modelli estetici propinati dai “media” possono sicuramente avere una forte influenza soprattutto sui soggetti più giovani, così come forte può essere l’influenza del gruppo dei pari. I coetanei possono, talvolta, indurre a considerare il proprio corpo come goffo o troppo grasso e quindi spingere a comportamenti errati.

Come si può raggiungere una diversa consapevolezza di se stessi e del proprio corpo?    

Occorre diffondere modelli di pensiero in cui il valore dell’individuo va ben oltre la forma del corpo. Gli individui e soprattutto gli adolescenti dovrebbero comprendere che è importante entrare in contatto con tutte le sensazioni del nostro corpo, gradevoli o eventualmente sgradevoli e imparare ad elaborare la componente emozionale che è, a queste, connessa. Accettare il proprio corpo significa anche desiderare di migliorarne la forma, ma nel rispetto della fisiologia e del proprio benessere, imparando soprattutto a gestirlo meglio per quanto riguarda la postura, i movimenti e l’abbigliamento, il che consentirà di comunicare al mondo cosa e chi veramente siamo, senza inseguire ideali di magrezza irraggiungibili e dannosi.

Carmen Vicinanza

Fonte: Infoodation

Perché quella vegana è la dieta migliore

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Vegetariani sì o no? Lo abbiamo chiesto a Filippo Ongaro, vicepresidente dell’ Associazione italiana medici anti-aging, e Leonardo Pinelli, nutrizionista vegano, già professore di pediatria all’Università di Verona e vicepresidente della Società scientifica di nutrizione vegetariana.

Mangiare tanta verdura fa bene, però non rinunciamo al pesce
Siamo geneticamente onnivori. Filippo Ongaro parte da questo presupposto. “ Tutti gli studi seri sulle nostre origini alimentari ci dicono che, dal punto di vista evolutivo, un’alimentazione a base di cibi di origine sia vegetale che animale sia quella più adatta a noi, dal punto di vista genetico. L’homo sapiens si è evoluto come cacciatore nomade, nutrendosi di carne e di cibi di origine vegetale, e noi, geneticamente, siamo identici”.

D’altro canto, però, è innegabile: mangiare troppa carne fa male. Mentre tante verdure nel piatto fanno bene. “ Certamente l’assunzione di cibi di origine vegetale ha effetti preventivi e protettivi sulla nostra salute, a livello cardiovascolare e oncologico”. Dunque meno cancro, meno diabete, ma anche meno obesità. “ Ma tutto questo va correttamente interpretato e non significa che le proteine animali vadano eliminate. Per esempio, i dati sugli effetti nocivi del consumo eccessivo di carne non fanno distinzione tra le diverse tipologie di carne. Sappiamo invece che la carne prodotta negli allevamenti intensivi (cui siamo tutti contrari per il trattamento riservato agli animali) non è la stessa di quella ottenuta da animali che pascolano liberamente. Così come i dati relativi al consumo di acqua generato dalla produzione della carne si basano su allevamenti intensivi, con animali nutriti con grano e non liberamente al pascolo. Insomma, il quadro è molto più complesso delle risposte emotive che spesso vengono date”.

E poi c’è il pescealimento nutritivo essenziale, ricco di proteine e acidi grassi polinsaturi, i famosi omega 3. “ Ormai è noto quanto siano importanti. Distribuendosi nell’organismo, diventano parte delle membrane cellulari e partecipano a tante reazioni biochimiche, tra cui quelle infiammatorie: possono dunque contribuire a prevenire tante patologie, dai tumori alle malattie cardiovascolari. Eliminando anche il pesce dalla dieta, si altera il profilo metabolico e nel sangue sono presenti acidi grassi meno buoni. Gli omega 3 di origine vegetale, come quelli contenuti nei semi di lino, hanno infatti un’azione biologica molto meno importante”.

In ogni caso, secondo Ongaro, non c’è un modo univoco di alimentarsi in modo sano. Ma non va sottovalutata l’importanza di una corretta assunzione di proteine. “ Sono essenziali per il nostro corpo: costituiscono organi e tessuti (per esempio quello muscolare) e contribuiscono alla formazione di enzimi, ormoni neurotrasmettitori. Sono fondamentali dunque per la nostra salute, per il nostro sistema immunitario e per invecchiare bene.

Fonte: Wired

Grassi idrogenati: quali sono e dove si trovano

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I grassi idrogenati, questi sconosciuti… Da poco, parlando con un mia zia alle prese con problemi di colesterolo alto, sono venuta a scoprire una cosa che mi ha sgomentato. Si parlava di dolci, di torte e crostate fatte in casa (che dovrebbero essere più sane e genuine, teoricamente), e lei, con totale tranquillità, mi ha annunciato: “Ah, io uso sempre la margarina per preparare i dolci da forno, perché è più leggera del burro, è vegetale!”. Sul momento non ho detto niente, perché non volevo allarmarla senza motivo, ma dentro ha cominciato a montare una certa angoscia.

Ricordavo qualcosa di molto negativo a proposito di questo prodotto, catalogato come alimento, come condimento, ma in realtà solo frutto di una manipolazione chimica. Così, ho deciso di indagare, e quello che segue è ciò che ho scoperto.

Grassi idrogenati: quali sono?

Grassi idrogenati idrogenazione

Cos’è un grasso idrogenato? Ovvero, in cosa consiste il procedimento detto “idrogenazione“? E’ presto detto, si prende un olio vegetale, che è fatto di acidi grassi polinsaturi, e lo si sottopone ad un processo che lo rende parzialmente saturo, trasformandolo, da liquido, in solido, proprio con la stessa consistenza del burro. Questo metodo, è utilizzato dalle aziende alimentari industriali perché in tal modo è molto più facile utilizzare questi grassi per la preparazione di prodotti confezionati a lunga conservazione. Il grasso idrogenato costa molto meno dell’omologo animale (il burro) e permette di ottenere pressoché gli stessi risultati, si conserva bene e a lungo. Anche per la cottura, i grassi vegetali idrogenati sono molto più convenienti. Nei fast food, ad esempio, vengono utilizzati per le fritture (delle patatine e delle crocchette, ad esempio) perché reggono meglio le alte temperature rispetto agli oli normali, e possono essere riutilizzati svariate volte. Potete immaginare benissimo con quali conseguenze sulla nostra salute.

Grassi idrogenati: dove si trovano?

Grassi idrogenati alimenti

A proposito di cibo, vediamo un elenco dei principali alimenti in cui si “nascondono” i grassi vegetali idrogenati.

  • Margarina (non tutte le margarine sono a base di grassi idrogenati, ma comunque la maggior parte, perciò, prima di acquistarne una confezione, leggete bene la composizione)
  • Dolci: le preparazioni dolci industriali contengono pressoché tutte grassi vegetali idrogenati. Mi riferisco a merendine, snack, biscotti, budini, cioccolati, gelati… Anche in questo caso, leggere bene l’etichetta è assolutamente un must
  • Pasta sfoglia: avete presenti quei rotoli di sfoglia pronta che servono per preparare torte e quiche salate? Contengono tutte grassi idrogenati
  • Fast food: tutto ciò che mangiate in un comune menù da fast food contiene grassi vegetali idrogenati, dalle patatine agli hamburger ai dolcetti, ai gelati. Tenetelo a mente
  • Dadi per brodo: leggere sempre la composizione dei vari dadi
  • Salatini
  • Patatine in busta
  • Snack e barrette
  • Focaccine e pizzette confezionate

Grassi idrogenati: perché fanno male?

Grassi idrogenati perchè fanno male

Perché fanno male i grassi vegetali idrogenati? Senza stare a spiegare per filo e per segno in cosa consista il procedimento chimico a cui gli oli vengono sottoposti, vi basti sapere che, a differenza degli omologhi saturi di origine animale, come il burro, questi non sono alimenti. Non nutrono, non forniscono nessuna sostanza utile all’organismo, perciò, non dovrebbero essere consumati mai. Il burro, ad esempio, spesso demonizzato perché contiene una concentrazione significativa di colesterolo, ha però anche molte buone qualità nutritive. Ma la margarina, ad esempio, non solo non contiene proteine nobili o grassi utili all’organismo, ma a causa del procedimento chimico a cui è stata sottoposta, e la sua composizione a base di acidi grassi trans, ha l’effetto di innalzare il colesterolo “cattivo” (LDL), e di abbassare quello “buono” (HDL), aumentando di molto i rischi di malattie all’apparato cardiovascolare, ictus e infarti.

Fonte: Pourfemme

L’olio di palma fa male alla salute. Ecco i lavori scientifici che lo dimostrano. Il silenzio imbarazzato del Ministero salute, delle aziende e dell’Inran (Cra-Nut)

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L’olio di palma fa male alla salute? La risposta è affermativa anche se gli studi condotti da alcuni ricercatori in Malesia e in Indonesia (i principali paesi produttori di olio di palma) tentano di dimostrare il contrario. Le aziende italiane che usano il palma in quasi tutti i prodotti alimentari cercano di ignorare questo problema, anche se è ormai difficile sostenere che si tratta di un grasso di buona qualità. Abbiamo chiesto un parere al Ministero della salute, all’Istituto Superiore di Sanità, all’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (ex Inran ora Cra Nut): nessuno ha saputo fornire risposte sulla sicurezza di questo ingrediente. In assenza di fonti ufficiali abbiamo fatto una ricerca per vedere cosa dice la letteratura scientifica a proposito del grasso palma e le conclusioni sono poco rassicuranti.

 

«La situazione non è proprio rosea e i lavori scientifici lo evidenziano – spiega Anna Villarini biologa nutrizionista presso l’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Una raccolta di studi condotta dai ricercatori e nutrizionisti italiani come Elena Fattori  (**), Cristina Bosetti, Furio Brighenti, Claudio Agostoni e Giovanni Fattore su oltre 50 lavori diversi e pubblicata nel 2014 su The American Journal of Clinical Nutrition, evidenzia che il consumo abituale di olio di palma fa aumentare in modo significativo la concentrazione di grassi nel sangue, dal colesterolo ai trigliceridi (leggi documento). Non solo, il rapporto tra colesterolo cattivo (LDL) e buono ( HDL) aumenta, per cui alla fine si assiste a maggiori livelli di colesterolo cattivo. Un altro elemento evidenziato è la maggiore presenza di colesterolo cattivo nel sangue tra gli abituali consumatori di olio di palma, rispetto alle persone che impiegano altri grassi decisamente più salutari come l’olio extravergine di oliva. Un’altra considerazione – continua Villarini – è che il palma viene spesso utilizzato in forma esterificata dalle aziende alimentari e questa modifica peggiora il profilo lipidico favorendo il danno cardiovascolare. C’è infine un lavoro pubblicato su Lipids nel 2014 da Perreault M dove si associa il consumo di acido palmitico all’incremento di sostanze infiammatorie circolanti nel sangue. È noto che gli stati di infiammazione cronica favoriscono lo sviluppo di varie patologie come le cardiovascolari, l’aterosclerosi, il diabete e anche alcuni tumori».

 (**) Elena Fattori ci ha scritto una lettera che abbiamo pubblicato sul sito in cui dissente da queste conclusioni. Il il testo si trova a questo indirizzo

nutella

Un’altra informazione interessante riguarda l’India, dove il consumo di olio di palma e di alimenti che lo contengono ha raggiunto alti livelli. Il governo sta valutando di mettere una tassa per disincentivarne l’impiego visto l’impatto che avrebbe sui livelli di colesterolo, sulla mortalità per malattia coronarica e per malattia cerebrovascolari (vedi documento).

Ma le informative scientifiche sul palma non sono finite. Uno degli studi più accreditati condotto in 23 Paesi nel periodo compreso tra il 1980 e il 1997, da Brian K Chen e collaboratori, nel 2011 ha esaminato gli effetti negativi sulla salute riferiti ad un lungo periodo. Gli autori sostengono che per ogni kg di olio di palma assunto in più ogni anno, aumenta il tasso di mortalità per patologia cardiovascolare. La stima parla di 68 morti ogni 100.000 abitanti. Questo valore risulta inferiore per i paesi industrializzati (17 morti ogni 100.000 abitanti) dove questa materia grassa è meno utilizzata. Volendo trasferire la valutazione dell’incremento del rischio cardiovascolare e di infarto in seguito all’aumento di 1 kg di palma pro capite l’anno, al nostro Paese la stima equivale a oltre 10.000 morti l’anno. Nello stesso lavoro, gli autori hanno preso in esame il ruolo degli altri grassi presenti nella dieta, perché i sostenitori del palma basano spesso le tesi difensive sul fatto che l’incremento di colesterolo serico non può essere imputato a un solo grasso ma a tutti quelli assunti nella dieta o, come indicato in una recente review italiana del 2013 da Fattore e collaboratori, dalla struttura dei trigliceridi. Ebbene, secondo i dati raccolti da Chen, l’effetto negativo del palma persiste indipendentemente dagli altri grassi della dieta.

 

biscotti olio di palma

«La rivoluzione dei grassi estranei nei prodotti da forno – spiega Antonello Paparella, presidente del corso di laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari all’Università di Teramo – ha origini lontane. A partire dagli anni Settanta l’industria ha cercato soluzioni per ridurre i costi di produzione cominciando ad usare in modo ancora limitato il palma nel pane, nelle merendine e nei biscotti. I nuovi prodotti più morbidi, più umidi e spesso con farciture, richiedevano però imballaggi particolari e molto costosi come quelle in alluminio dei primi biscotti wafer. In altri casi si usava aggiungere alcool per evitare la formazione di muffe.

Con il progressivo incremento dell’olio di palma nelle ricette, i prodotti sono diventati più stabili e ormai non richiedono né alcool come alcune merendine della prim’ora né imballaggi costosi. Come spesso accade, il consumatore però non si è accorto che in questi anni l’aspetto dei prodotti è rimasto lo stesso anche se sono cambiati gli ingredienti e le ricette».

Fonte: Il fatto alimentare